Il moto del pendolo

Galileo è il primo scienziato italiano a studiare il fenomeno in modo sistematico e a trattare l’argomento con rigore scientifico. Nel discorso di Galileo, la nozione dell’isocronismo porta a quella che le velocità di oscillazione di due masse – una di piombo e una di sughero – a parità di lunghezza del filo e di ampiezza di oscillazione sono eguali. Proprietà questa che, non essendo la discesa del pendolo altro che una caduta lungo un arco circolare, rientra nelle modalità di caduta dei gravi, identiche, secondo Galileo, per tutti i corpi, purché sia lecito trascurare effetti secondari come la resistenza offerta dal mezzo.

Nel pendolo, tuttavia, si manifesta un fatto nuovo, concettualmente imprevedibile, anche per Galileo, e rilevabile solo con l’osservazione sperimentale: il tempo di caduta è indipendente dalla quota da cui il pendolo parte – oscillazioni isocroniche, appunto – cosa che non è vera per caduta verticale o lungo piani inclinati.

Galileo non pretese mai che l’isocronismo fosse esatto. Sappiamo dal Viviani che egli aveva osservato minuscole differenze nel periodo delle grandi e delle piccole oscillazioni. Tuttavia, conscio com’era degli effetti di resistenza dell’aria, tanto più importanti quanto maggiore è la velocità del corpo (e quindi l’ampiezza di oscillazione), fu indotto ad attribuirle piuttosto a tale «impedimento», che non al fatto che la legge fisica che porta all’isocronismo cessa di valere per ampiezze di oscillazione medie e grandi.

Passando ora alla lettura del testo, si noti la concretezza del ragionamento, il costante riferimento a fenomeni che possono essere osservati da tutti, nonché la naturalezza dello stile discorsivo che, pur interrompendosi più volte a registrare gli umori, la partecipazione e le aspettative dei dialoganti, come accade nella conversazione, procede con lucido rigore verso l’obiettivo prefisso.

Il dialogo inizia – a partire come si è detto dall’eguaglianza delle modalità di caduta libera per due gravi di peso differente – con l’argomentazione riguardante l’indipendenza del periodo delle oscillazioni di un pendolo dal valore della massa oscillante appesa al filo (o spago, o corda, nelle varie terminologie usate da Galileo), seguita da quella dell’isocronismo delle oscillazioni.

 

 

Esperienze con il pendolo

Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze

La massa del pendolo

SALV. L’esperienza fatta con due mobili quanto più si possa differenti di peso, col fargli scendere da un’altezza per osservar se la velocità loro sia eguale, patisce qualche difficoltà: imperò che se l’altezza sarà grande, il mezzo, che dall’impeto del cadente deve esser aperto e lateralmente spinto, di molto maggior pregiudizio sarà al piccol momento del mobile leggierissimo che alla violenza del gravissimo, per lo che per lungo spazio il leggiero rimarrà indietro; e nell’altezza piccola si potrebbe dubitare se veramente non vi fusse differenza, o pur se ve ne fusse, ma inosservabile. E però sono andato pensando di reiterar tante volte la scesa da piccole altezze, ed accumulare insieme tante di quelle minime differenze di tempo, che potessero intercedere tra l’arrivo al termine del grave e l’arrivo del leggiero, che così congiunte facessero un tempo non solo osservabile, ma grandemente osservabile.

In oltre, per potermi prevaler di moti quanto si possa tardi, ne i quali manco lavora la resistenza del mezzo in alterar l’effetto che depende dalla semplice gravità, sono andato pensando di fare scendere i mobili sopra un piano declive, non molto elevato sopra l’orizontale; ché sopra questo, non meno che nel perpendicolo, potrà scorgersi quello che facciano i gravi differenti di peso: e passando più avanti, ho anco voluto liberarmi da qualche impedimento che potesse nascer dal contatto di essi mobili su ’l detto piano declive: e finalmente ho preso due palle, una di piombo ed una di sughero, quella ben più di cento volte più grave di questa, e ciascheduna di loro ho attaccata a due sottili spaghetti eguali, lunghi quattro o cinque braccia, legati ad alto; allontanata poi l’una e l’altra palla dallo stato perpendicolare, gli ho dato l’andare nell’istesso momento, ed esse, scendendo per le circonferenze de’ cerchi descritti da gli spaghi eguali, (or semidiametri, passate oltre al perpendicolo, son poi per le medesime strade ritornate indietro; e reiterando ben cento volte per lor medesime le andate e le tornate, hanno sensatamente mostrato, come la grave va talmente sotto il tempo della leggiera, che né in ben cento vibrazioni, né in mille, anticipa il tempo d’un minimo momento, ma camminano con passo egualissimo. Scorgesi anco l’operazione del mezzo, il quale, arrecando qualche impedimento al moto, assai più diminuisce le vibrazioni del sughero che quelle del piombo, ma non però che le renda più o men frequenti; anzi quando gli archi passati dal sughero non fusser più che di cinque o sei gradi, e quei del piombo di cinquanta o sessanta, son eglin passati sotto i medesimi tempi. [...].

Isocronismo

SALV. [...] Però notate: slargato il pendolo del piombo, v. g., cinquanta gradi dal perpendicolo e di lì lasciato in libertà, scorre, e passando oltre al perpendicolo quasi altri cinquanta, descrive l’arco di quasi cento gradi e ritornando per se stesso indietro, descrive un altro poco minore arco, e continuando le sue vibrazioni, dopo gran numero di quelle si riduce finalmente alla quiete. Ciascheduna di tali vibrazioni si fa sotto tempi eguali, tanto quella di novanta gradi, quanto quella di cinquanta, di venti, di dieci e di quattro; sì che, in conseguenza, la velocità del mobile vien sempre languendo, poiché sotto tempi eguali va passando successivamente archi sempre minori e minori. Un simile, anzi l’istesso, effetto fa il sughero pendente da un filo altrettanto lungo, salvo che in minor numero di vibrazioni si conduce alla quiete, come meno atto, mediante la sua leggerezza, a superar l’ostacolo dell’aria: con tutto ciò tutte le vibrazioni, grandi e piccole, si fanno sotto tempi eguali tra di loro, ed eguali ancora a i tempi delle vibrazioni del piombo. Onde è vero che, se mentre il piombo passa un arco di cinquanta gradi, il sughero ne passa uno di dieci, il sughero allora è più tardo del piombo; ma accaderà ancora, all’incontro, che il sughero passi l’arco di cinquanta, quando il piombo passi quel di dieci o di sei: e così, in diversi tempi, or sarà più veloce il piombo ed ora il sughero. Ma se gli stessi mobili passeranno ancora, sotto i medesimi tempi eguali, archi eguali, ben sicuramente si potrà dire allora essere le velocità loro eguali.

Lunghezza del filo

SALV. Vedremo se da questi nostri pendoli si possa cavare qualche sodisfazione a tutte queste difficoltà. [...] Quanto poi alla proporzione de i tempi delle vibrazioni di mobili pendenti da fila di differente lunghezza, sono essi tempi in proporzione suddupla delle lunghezze delle, fila, o vogliam dire le lunghezze esser in duplicata proporzion de i tempi, cioè son come i quadrati de i tempi: sì che volendo, v. g., che ’l tempo d’una vibrazione d’un pendolo sia doppio del tempo d’una vibrazione d’un altro, bisogna che la lunghezza della corda di quello sia quadrupla della lunghezza della corda di questo; ed allora, nel tempo d’una vibrazione di quello, un altro ne farà tre, quando la corda di quello sarà nove volte più lunga dell’altra: dal che ne sèguita che le lunghezze delle corde hanno fra di loro la proporzione che hanno i quadrati de’ numeri delle vibrazioni che si fanno nel medesimo tempo.

SAGR. Adunque, se io ho ben inteso, potrò speditamente sapere la lunghezza d’una corda pendente da qualsivoglia grandissima altezza, quando bene il termine sublime dell’attaccatura mi fusse invisibile e solo si vedesse l’altro estremo basso. Imperò che, se io attaccherò qui da basso un assai grave peso a detta corda e farò che si vada vibrando in qua e in là, e che un amico vadia numerando alcune delle sue vibrazioni e che io nell’istesso tempo vadia parimente contando le vibrazioni che farà un altro mobile appeso a un filo di lunghezza precisamente d’un braccio, da i numeri delle vibrazioni di questi pendoli, fatte nell’istesso tempo, troverò la lunghezza della corda [...].

SALV. Né vi ingannerete d’un palmo, e massime se piglierete moltitudini grandi di vibrazioni.

SAGR. V. S. mi dà pur frequentemente occasione d’ammirare la ricchezza ed insieme la somma liberalità della natura, mentre da cose tanto comuni, e direi anco in certo modo vili, ne andate traendo notizie molto curiose e nuove, e bene spesso remote da ogni immaginazione. Io ho ben mille volte posto cura alle vibrazioni, in particolare, delle lampade pendenti in alcune chiese da lunghissime corde, inavvertentemente state mosse da alcuno; ma il più che io cavassi da tale osservazione, fu l’improbabilità dell’opinione di quelli che vogliono che simili moti vengano mantenuti e continuati dal mezzo, cioè dall’aria, perché mi parrebbe bene che l’aria avesse un gran giudizio, ed insieme una poca faccenda, a consumar le ore e le ore di tempo in sospignere con tanta regola in qua e in là un peso pendente: ma che io fussi per apprenderne che quel mobile medesimo, appeso a una corda di cento braccia di lunghezza, slontanato dall’imo punto una volta novanta gradi ed un’altra un grado solo o mezzo, tanto tempo spendesse in passar questo minimo, quanto in passar quel massimo arco, certo non credo che mai l’avrei incontrato, ché ancor ancora mi par che tenga dell’impossibile. Ora sto aspettando di sentire che queste medesime semplicissime minuzie mi assegnino ragioni tali di quei problemi musici, che mi possino, almeno in parte, quietar la mente.