Come cadono i gravi

Un problema che da sempre ha suscitato l’interesse degli uomini è quale sia la vera ragione per cui due corpi diversi in caduta da una stessa altezza impiegano tempi differenti a toccare terra. Tempi che, inoltre, cambiano se varia il mezzo in cui avviene la caduta, come si verifica subito confrontando il comportamento di un grave in aria e in acqua, tanto per fare riferimento ai mezzi più comuni.

La risposta più istintiva è quella fornita dai filosofi aristotelici: il corpo di maggior peso arriva a terra prima perché le velocità di caduta sono proporzionali ai pesi. Circa il ruolo del mezzo ambiente, sempre secondo Aristotele, la velocità di caduta sarebbe inversamente proporzionale alla sua densità. Tale concezione non spiega diverse cose, ad esempio perché, a parità di peso del corpo e a parità di mezzo ambiente, i tempi di caduta possono comunque differire se i due corpi hanno forma diversa, più aerodinamica o meno.

Oggi sappiamo che la forza complessiva agente sul corpo è data dalla differenza tra forza peso e forza d’attrito associata alla resistenza del mezzo. Per la legge di Newton, il corpo accelera solo se la forza complessiva agente su di esso è diversa da zero, altrimenti la sua velocità si mantiene costante. È appena necessario ricordare che, mentre il peso resta fisso durante la caduta, la forza d’attrito cresce man mano che aumenta la velocità del corpo. Se il peso è grande, esso rimane preponderante per un lungo tragitto e la caduta differisce poco da quella libera (caduta nel vuoto): è il caso di una biglia di piombo. Se la biglia fosse di sughero, la forza d’attrito pareggerebbe presto il peso, così da impedire ogni ulteriore accelerazione del corpo e fargli assumere una definita velocità terminale (tale comportamento è ben visibile nella discesa di un paracadutista).

Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze

SALVIATI. [...] io grandemente dubito che Aristotele non sperimentasse mai quanto sia vero che due pietre, una più grave dell’altra dieci volte, lasciate nel medesimo instante cader da un’altezza, v. g., di cento braccia, fusser talmente differenti nelle lor velocità, che all’arrivo della maggior in terra, l’altra si trovasse non avere né anco sceso dieci braccia....

Ma, senz’altre esperienze, con breve e concludente dimostrazione possiamo chiaramente provare, non esser vero che un mobile più grave si muova più velocemente d’un altro men grave, intendendo di mobili dell’istessa materia, ed in somma di quelli de i quali parla Aristotele. Però ditemi, Sig. Simplicio, se voi ammettete che di ciascheduno corpo grave cadente sia una da natura determinata velocità, sì che accrescergliela o diminuirgliela non si possa se non con usargli violenza o opporgli qualche impedimento.

Quando dunque noi avessimo due mobili, le naturali velocità de i quali fussero ineguali, è manifesto che se noi congiugnessimo il più tardo col più veloce, questo dal più tardo sarebbe in parte ritardato, ed il tardo in parte velocitato dall’altro più veloce. Non concorrete voi meco in quest’opinione? Ma se questo è, ed è insieme vero che una pietra grande si muova, per esempio, con otto gradi di velocità, ed una minore con quattro, adunque, congiugnendole amendue insieme, il composto di loro si moverà con velocità minore di otto gradi: ma le due pietre, congiunte insieme, fanno una pietra maggiore che quella prima, che si moveva con otto gradi di velocità: adunque questo composto (che pure è maggiore che quella prima sola) si muoverà più tardamente che la prima sola, che è minore; che è contro alla vostra supposizione.

Vedete dunque come dal suppor che ’l mobile più grave si muova più velocemente del men grave, io vi concludo, il più grave muoversi men velocemente. ... ...Veduto come la differenza di velocità, ne i mobili di gravità diverse, si trova esser sommamente maggiore ne i mezzi più e più resistenti; ma che più? nel mezzo dell’argento vivo l’oro non solamente va in fondo più velocemente del piombo, ma esso solo vi descende, e gli altri metalli e pietre tutti vi si muovono in su e vi galleggiano, dove che tra palle d’oro, di piombo, di rame, di porfido, o di altre materie gravi, quasi del tutto insensibile sarà la disegualità del moto per aria, ché sicuramente una palla d’oro nel fine della scesa di cento braccia non preverrà una di rame di quattro dita; veduto, dico, questo, cascai in opinione che se si levasse totalmente la resistenza del mezzo, tutte le materie descenderebbero con eguali velocità.

Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, pubblicato nel 1632, egli riprende il confronto tra la caduta della pietra da una torre sulla terraferma e dall’albero di una nave in movimento. È sulla presunta differenza di comportamento nei due casi – puntualmente smentita da Galileo – che i seguaci di Aristotele fondano la loro asserzione che la Terra non ruota. Qui il discorso è arricchito da una dovizia di nuovi esempi, che si superano l’un l’altro nel corroborare le argomentazioni di Galileo.

Anzitutto, il delizioso trabocchetto in cui Salviati attira Simplicio, facendogli dire, benché con riluttanza, che in assenza di «impedimenti esterni» un corpo che si trovi in movimento vi permane indefinitamente. Da qui a concludere che la pietra deve cadere in ogni caso al piede dell’albero, sia che la nave viaggi, sia che resti ferma, il passo è breve. Con buona pace degli aristotelici, si estingue così l’argomento che la caduta a perpendicolo dalla torre sia una prova dell’immobilità della Terra.

Non meno gustoso è il tema che segue: la confutazione della credenza degli aristotelici che un corpo lanciato nell’aria avanzi non tanto per inerzia, quanto perché trasportato dall’aria stessa; cui sarebbe stato trasmesso un impulso dal braccio del lanciatore. Di nuovo Simplicio finisce nei guai allorché Sagredo gli dimostra che in tal caso una freccia scagliata per traverso, anziché con la punta in avanti, andrebbe più lontano.

Voi, con Aristotile ed altri, dite: Se la Terra girasse in sé stessa in 24 ore, le pietre e gli altri corpi gravi cadenti dalla cima d’un’alta torre, non verrebbono a percuotere in Terra al piede della torre; avvenga che nel tempo che la pietra si trattiene per aria, scendendo verso il centro della Terra, essa Terra, procedendo con somma velocità verso levante e portando seco il piede della torre, verrebbe per necessità a lasciarsi a dietro la pietra per tanto spazio, per quanto la vertigine della Terra nel medesimo tempo fusse scorsa avanti, che sarebbero molte centinaia di braccia. Il qual discorso confermano poi con un esempio preso da un’altra esperienza, dicendo ciò manifestamente vedersi in una nave, nella quale se, mentre ella sta ferma in porto, si lascia dalla sommità dell’albero cader liberamente una pietra, quella, scendendo a perpendicolo, va a percuotere al piede dell’albero, ed in quel punto precisamente che risponde a piombo sotto il luogo di dove si lasciò cadere il sasso; il quale effetto non avviene quando la nave si muove con veloce corso; imperò che nel tempo che la pietra consuma nel venir da alto a basso e che ella, posta in libertà, perpendicolarmente descende, scorrendo il navilio avanti, si lascia per molte braccia il sasso per poppa lontano dal piede dell’albero; conforme al quale effetto dovrebbe seguire del sasso cadente dalla cima della torre, quando la Terra circolasse con tanta velocità. Questo è il discorso: nel quale pur troppo apertamente scorgo ambedue gli errori de’ quali io parlo. Imperò che, che la pietra cadente dalla cima della torre si muova per linea retta e perpendicolare alla superficie terrestre, né Aristotile né voi da altro lo raccogliete, né potete raccorre, se non dal vedere come nel suo scendere ella vien, per così dire, lambendo la superficie della torre, eretta a perpendicolo sopra la Terra; sì che si scorge, la linea descritta dalla pietra esser retta essa ancora e perpendicolare. Ma io qui vi dico che da questa apparenza non si può altramente inferir cotesto se non supposto che la Terra stia immobile mentre la pietra descende, che è poi il quesito che si cerca; perché, se io col Copernico dirò che la Terra va in giro e seco in conseguenza porta la torre e noi ancora che osserviamo l’effetto della pietra, diremo che la pietra si muove d’un moto composto dell’universal diurno circolare verso levante e dell’altro accidentario retto verso il suo tutto, da i quali ne resulta uno inclinato verso oriente; de i quali quello ch’è comune a me, alla pietra ed alla torre, mi resta in questo caso impercettibile e come se non fusse, e solo rimane osservabile l’altro, del quale la torre ed io manchiamo, cioè l’avvicinamento alla Terra. [...]

Lettera a Francesco Ingoli

Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, Galileo enuncia il principio di relatività e ne suggerisce implicitamente la concatenazione con quello di inerzia (il principio di relatività implica il principio di inerzia).

Il passo è una spia di come l’occhio indagatore di Galileo si posi sui fenomeni e sugli oggetti più umili del quotidiano con la stessa curiosità e attenzione con cui esplora gli spazi celesti.

Vale la pena di evidenziare il comportamento galileiano per tanti giovani che oggi si avvicinano alla scienza perché attratti dal fascino lontano delle galassie o dei buchi neri, ma restano ciechi e indifferenti di fronte ai mille perché che salgono dall’esperienza quotidiana.

Nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio riserratevi con qualche amico, e quivi fate di aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; pigliatevi anco un gran vaso con acqua, e dentrovi de’ pescetti; accomodate ancora qualche vaso alto che vada gocciolando in un altro basso e di angusta gola: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; ... e voi, gettando all’amico vostro alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettar verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando, come si dice, a pie’ giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che averete bene tutte queste cose, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e ’n là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutte le nominate cose, né da alcuna di quelle, né meno da cosa che sia in voi stesso, potrete assicurarvi se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete voi maggior salti verso la poppa che verso la prua, ben che, nel tempo che voi state in aria, il tavolato scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando un frutto all’amico, non con più forza bisognerà gettarglielo, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso la poppa, che se voi fuste situati per l’opposito; le goccie cadranno nel vaso inferiore senza restarne pur una verso poppa, ancor che, mentre la goccia è per aria, la nave scorra molti palmi; .... E se voi di tutti questi effetti mi domanderete la cagione, vi risponderò per ora: "Perché il moto universale della nave, essendo comunicato all’aria ed a tutte quelle cose che in essa vengono contenute, e non essendo contrario alla naturale inclinazione di quelle, in foro indelebilmente si conserva""; [...]